È possibile derogare alla distanza minima tra edifici?
È consolidato orientamento della Corte di Cassazione che, in tema di distanze tra edifici, il Decreto Ministeriale del 1968 in tema di standard urbanistici, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue previsioni su densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (in termini Cass. Sez. Un. 14953/2011)
Pertanto le norme tecniche di attuazione del P.R.G. o le previsioni del Regolamento edilizio comunale in contrasto con le previsioni del citato decreto devano essere disapplicate dal giudice ordinario.
L’ipotesi derogatoria contemplata dall’ultimo comma dell’ 9 del D.M. 1444/1968 consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale qualora le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione.
La previsione delle n.t.a. non può essere invece assimilabile alle ipotesi derogatorie di cui sopra, diverse essendo le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori, le quali hanno natura regolamentare e danno luogo ad uno strumento meramente secondario e subalterno, rispetto ai piani particolareggiati ed alle lottizzazioni convenzionate, i quali danno luogo ad uno strumento urbanistico esecutivo.
Insegna infatti la Suprema corte che “l’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. 444/1968 contempla, quale ipotesi di deroga alle distanze minime tra fabbricati, la realizzazione contestuale di “gruppi di edifici” e cioè di una pluralità di nuovi edifici inseriti in piani particolareggiati o in lottizzazioni convenzionate, ipotesi estranea al caso in esame, in cui si è avuta la realizzazione di un unico nuovo edificio che si è inserito nel contesto di un isolato già edificato” (Cass. Civ. 236/2024)
Avvocato Stefano Fedel