Il contratto di affitto ex lege a favore dell’erede ex art. 49 della legge agraria
La legge n. 203 del 1982 contiene una norma pensata per garantire l’integrità e la continuità dell’azienda agricola alla morte del titolare. E’ l’art. 49 e prevede che sia preferito nella conduzione dei fondi, anche per le parti spettanti per successione agli altri coeredi, quello tra gli eredi che abbia esercitato e continui ad esercitare attività agricola sul terreno alla data di apertura della successione.
L’art. 49 testualmente prevede che: “Nel caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, quelli tra gli eredi che, al momento dell’apertura della successione, risultino avere esercitato e continuino ad esercitare su tali fondi attività agricola in qualità di imprenditori a titolo principale ai sensi dell’art. 12 legge 9 maggio 1975, n. 153, o di coltivatori diretti, hanno diritto a continuare nella conduzione o coltivazione dei fondi stessi anche per le porzioni ricomprese nelle quote degli altri coeredi e sono considerati affittuari di esse. Il rapporto di affitto che così si instaura tra i coeredi è disciplinato dalle norme della presente legge, con inizio dalla data di apertura della successione.”.
Il diritto spetta al coltivatore diretto o all’imprenditore principale. Agli altri eredi non rimane che esercitare i propri diritti all’interno di un contratto di affitto “forzoso” nel quale sono concedenti. Hanno diritto a quella quota di affitto corrispondente alla loro parte di eredità.
I contratti ex art. 49 vengono regolati, per ogni loro aspetto, da quanto previsto dalla stessa legge 203/1982 con durata di 15 anni dall’apertura della successione, dalla morte cioè del titolare dell’azienda agricola.
In questa norma si scontrano due esigenze contrapposte: da una parte la tutela del diritto dei singoli all’uguaglianza della quota ereditaria e dall’altra la tutela dell’interesse alla conservazione dell’unità economica costituita dall’azienda agraria. Il punto d’incontro è rappresentato proprio dall’art. 49 che ha lo scopo di creare un contemperamento fra questi contrapposti interessi, senza intervenire sulla proprietà dei beni caduti in successione, ma solo sul godimento e sulla disponibilità degli elementi costitutivi dell’impresa.
L’art. 49 non si applica nel caso in cui tra il defunto e uno degli eredi risulti stipulato un regolare contratto agrario, poiché in tal caso l’erede stesso, in qualità di concessionario per contratto continua a usufruire del godimento del fondo ai sensi della disposizione di cui al comma 3 del medesimo articolo, in base alla quale “i contratti agrari non si sciolgono per la morte del concedente“.
Altro presupposto necessario perché si realizzi la fattispecie acquisitiva del diritto è, oltre alla qualità di erede e allo svolgimento di attività agricola sul fondo, la continuazione dell’attività sul medesimo. La norma non richiede che gli affittuari assumano formalmente l’impegno alla continuazione dell’attività. Basta il semplice fatto dello svolgimento della coltivazione. L’interruzione dell’attività fa venir meno uno dei presupposti indispensabili, cui la legge ricollega il sorgere ed il permanere della situazione soggettiva in capo al titolare.
La disciplina introdotta con l’art. 49, comma 1, è particolarmente idonea a creare litigiosità all’interno delle famiglie. Potrebbe anche impedire che un capo famiglia si avvalga durante la sua vita, nella gestione della sua azienda agricola più o meno vasta, della collaborazione di uno o più familiari nel timore di futuri litigi tra loro.
La speciale tutela accordata all’erede che ha coltivato e continui a coltivare il fondo di famiglia trova però giustificazione nel fatto che la situazione di costui è obiettivamente diversa da quella degli altri eredi, che, anche se magari imprenditori a titolo principale o coltivatori diretti, non hanno coltivato o non continuino a coltivare lo stesso fondo. La sua situazione si risolve infatti non in una soppressione della proprietà privata o dell’iniziativa economica privata, ma soltanto in una limitazione di entrambe a garanzia dell’integrità dell’azienda.
La ratio della norma di cui all’art. 49 della legge n. 203 del 1982 è da individuarsi nell’esigenza di assicurare, anche dopo la morte dell’imprenditore agricolo, l’integrità dell’azienda e la continuità e l’unità dell’impresa e, pertanto, la garanzia di continuità nella conduzione di un fondo data ad uno dei coeredi non può essere considerata nella prospettiva di un privilegio attribuito ad uno di essi a danno degli altri, bensì nel più ampio quadro dell’interesse pubblico alla conservazione di un’impresa produttiva; Corte Costituzionale, 31/05/1988, N. 597
E’ per questo che le questioni di illegittimità sollevate di fronte alla Corte Costituzionale sono state respinte. La norma può apparire squilibrata ma garantisce trattamenti diversi a situazioni diverse.
Avvocato Andrea Callegari